La primavera non era ancora arrivata eppure la mia zona si era già trasformata in una enorme distesa verde. Il vento increspava e cullava l’oceano d’erba creando un moto ondoso che si disperdeva in mille vortici e correnti.
Nelle nostre tane fervevano i preparativi. Le gatte pulivano il pelo dei valorosi mici che si sarebbero dovuti tuffare, di lì a poco, nel mare verde; i gatti più anziani elargivano consigli su cosa fare e soprattutto non fare una volta immersi; io me ne stavo appisolato con il muso poggiato a terra ad osservare l’allestimento della prima grande battuta di caccia dell’anno e nella mia mente pregustavo una bella lucertola o un succoso topolino.
A detta del gatto senza zampa, nulla al mondo era più buono di un topo maturato al punto giusto, né troppo piccolo – tutto pelle e ossa – né troppo grande – con la carne dura e stopposa. Giustappunto era questa la stagione in cui il mercato – ovvero il campo incolto che ci circondava – offriva la migliore mercanzia. Inoltre le condizioni climatiche e ambientali erano ideali per progettare agguati nascosti tra l’erba alta, gattonando contro vento.
L’eccitazione era palpabile e un piacevole ottimismo, sconosciuto in quella terra, si era diffuso nell’aria. Anche il gatto senza zampa, che di giorno si rintanava nel suo nascondiglio per riemergere con il favore delle tenebre, era venuto ad osservare i lavori e la rumorosa organizzazione.
A rovinare la festa, un’automobile. Perché era venuta fin qui? La strada principale era distante poco più di 170 metri e questa era solo una viuzza che portava all’ultima casa della città, oltre la quale l’asfalto terminava e la strada si costellava di sassi e cespugli fino a sfociare nel grande campo incolto.
Se il conducente avesse sbagliato strada avrebbe ingranato la retromarcia e sarebbe scappato via in un baleno da quel cul de sac. Invece l’auto era lì, immobile!
Il miagolio allegro che aveva accompagnato per tutta la mattina i preparativi si era bruscamente interrotto. Come attratti da una calamita – o da una calamità, dipende dagli stati d’animo – ci dirigemmo guardinghi verso una postazione utile all’osservazione di quel corpo estraneo.
Il motore era ancora acceso. All’interno dell’abitacolo due sagome discutevano cordialmente. Fremevo dalla voglia di avvicinarmi per scoprire se i racconti del gatto senza zampa corrispondessero al vero. Non avevo mai visto un umano in vita mia e quella occasione era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Lentamente, con il corpo schiacciato sul terreno, puntai verso un cespuglio dietro il quale avrei avuto un’ottima visuale e al tempo stesso una buona copertura.
Mancava qualche passo alla postazione prescelta quando la portiera dell’auto si aprì. Una scarpa blu scuro toccò l’asfalto, mentre una mano spingeva delicatamente lo sportello per completare l’operazione di apertura. “Dove credi di andare, piccoletto?” Un dolore lancinante mi paralizzò, poi una sensazione di intorpidimento pervase tutto il mio corpo. Due arcate di denti avevano afferrato saldamente la mia collottola. Tentai di divincolarmi e di alzare lo sguardo per fissare il muso di quell’umano, ma ogni movimento mi faceva strabuzzare gli occhi per poi farli convergere verso un unico punto focale. Non vidi altro che il mio naso e mi beccai pure la ramanzina della mia mamma.
Il sole non era ancora stato inghiottito dall’orizzonte che una piccola folla di randagi preoccupati si era già radunata ai piedi dell’Ippocastano. Nessuno dei presenti però aveva intinto la lingua nella preziosa acqua piovana ristagnante ivi custodita. Tutti gli occhi erano puntati sul gatto senza zampa.
Una crepuscolare luce rossa filtrava tra le nubi e illuminava il suo grugno spaccandolo perfettamente a metà. Appollaiato su una radice sporgente, dalla quale poteva dominare gli altri gatti, silenzioso e impassibile si godeva il brusio impaziente dei convenuti. Dal fondo un miagolio stridulo richiamò al silenzio cosicché l’abile narratore potesse iniziare.
Spinto dal vento un nembo coprì gli ultimi resti del sole. Era il momento. Un crescendo di miagolii taglienti come lame ci catapultò violentemente in un quadro dai contorni poco definiti. La nebbia era calata sulla vecchia casa rendendo impossibile vedere ad un gommino di naso. A stimolare la nostra immaginazione un rumore sordo: qualcosa si stava avvicinando. Senza mai sollevare le enormi zampe da terra, un’enorme involucro di metallo scivolava lentamente sull’asfalto. Il rumore divenne via via sempre più stridente come se le unghie dello Storpio stessero graffiando i nostri timpani. Improvvisamente il silenzio.
Un mostro blu dalle sembianze umane uscì dall’involucro. Era elegante come un felino e una lunga criniera gli copriva la testa. Prese con sé tre valigie e si diresse verso la vecchia casa, dileguandosi nella nebbia.
Mi guardai intorno, tutti i randagi erano ancora storditi. Una gatta in lacrime, con lo sguardo perso nel vuoto, cercava di coprirsi le orecchie con le zampe. Sorrisi. Nonostante lo Storpio avesse fatto uso del suo migliore repertorio, non avevo paura. Del resto avevo vissuto sulla mia pelle gli eventi della mattina e mi ero avvicinato abbastanza da percepire che non ci fosse alcun pericolo. Forse mi fidavo troppo del mio sesto senso felino o la mia curiosità di gattino mi faceva sottovalutare una potenziale insidia, ma sentivo che non c’era nulla da temere.
Per gli anziani invece non c’erano dubbi, quell’arrivo non poteva che essere foriero di guai. Un giudizio così drastico richiedeva una regola altrettanto tassativa: nessun gatto doveva avvicinarsi all’umano! Come se un oscuro presagio prendesse forma iniziò a piovere. Bene, avrei potuto raccogliere informazioni in tutta tranquillità.
Gatti di strada – Capitolo 3
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