Se pensate che il vostro micio domestico sia pigro allora non avete mai osservato la natura indolente dei gatti di strada. Il randagio più attivo riesce a sonnecchiare fino a 15 ore! L’espediente escogitato dai nostri antenati per farci sembrare dinamici è quello di fare tanti piccoli sonnellini cosicché ogni attività diventi una piacevole pausa tra una dormita e l’altra.
Il massimo della fiacchezza viene raggiunto quando piove. Nessun gatto dotato di buon senso, si sognerebbe di muover zampa durante una giornata piovosa. La svogliatezza e l’apatia infatti sono dirette conseguenze della pioggia.
Quella notte però ogni goccia d’acqua era per me una benedizione dal cielo. Mentre tutti i gatti erano impegnati a proteggere il loro prezioso vello, io mi diressi verso la vecchia casa. Le finestre erano chiuse e delle grosse tende impedivano ogni sguardo indiscreto; del portone principale neanche a parlarne. Gironzolai per qualche minuto intorno a quella fortezza inespugnabile ma non vidi alcuno spiraglio. Non avevo ancora acquisito le movenze di un gatto maturo e un passo sbagliato mi sarebbe potuto costare la vita, ma non avevo altra scelta: dovevo perlustrare il tetto.
Senza guardare giù, presi un bel respiro e feci a malincuore un giro di perlustrazione sul cornicione. Nascosta tra le tegole c’era una finestrella, facendo attenzione mi avvicinai.
Subito, alla prima occhiata, apparve in tutta la sua evidenza un grosso problema: la finestra dava sul bagno. Certo, avrei potuto aspettare lì, appostato sotto la pioggia, fino a quando l’umano non sarebbe andato a fare i suoi bisogni ma, benché non lo dessi a vedere, ci tenevo pure io alla mia pelliccia. Inoltre, se avesse smesso di piovere, non sarei potuto stare troppo tempo sul tetto correndo il rischio di farmi notare dagli altri randagi.
Per dipanare la matassa c’era un’unica soluzione, abbastanza semplice ma al tempo stesso laboriosa. Si trattava di pazientare ancora qualche giorno, in fondo l’attesa era il piccolo prezzo da pagare a fronte della grande ricompensa finale.
Senza aver appagato la mia curiosità ritornai nella tana, spostata in fretta e furia nel tronco cavo antistante il giardino. Quella tana non era altro che il buco in cui si era trasferito mio padre dopo il divorzio. Il corso degli eventi era divenuto troppo imprevedibile e pericoloso perché si potesse stare, come se nulla fosse successo, nel giardino della vecchia casa. Sapete benissimo quanto le mamme possano essere apprensive. Ebbene, la mia mamma lo era di più!
La buona sorte mi stava assistendo, infatti il chiassoso ronfare di mio padre sovrastava gli spostamenti d’aria prodotti dai miei cauti movimenti, così, senza essere scoperto, potei finalmente lasciarmi cadere nel mio giaciglio.
Al mattino il sole non si fece vedere, in compenso aveva smesso di piovere da un pezzo. Sotto la strada sterrata, alcuni gatti pescavano annoiati mentre io li osservavo attentamente. Per un randagio della zona, “pescare” voleva dire appostarsi vicino allo scarico fognario nell’attesa che qualche ignaro topolino cadesse tra le sue grinfie. Minimo sforzo, massimo risultato!
In un torrente schiumoso, lentamente fluiva una massa informe di liquami puzzolenti che appestavano il terreno e si raccoglievano in un piccolo stagno marrone scuro. Un naso e una zampa attenta avrebbero potuto capire, dall’odore e dalla consistenza, quali di essi provenissero dall’ultima casa della città. Fortunatamente il terreno mostrava degli escrementi la cui evidente
compattezza, senza doverla tastare con la zampa, non lasciava adito a congetture sulla provenienza. Inoltre la loro posizione, all’inizio del fiumiciattolo, era un chiaro indizio che qualcuno fosse andato in bagno poche ore prima.
Immerso nei pensieri e completamente assorto dalle rilevazioni, un odore pungente, mai sentito prima, risvegliò la mia attenzione e solleticò le mie narici stimolandomi, in maniera anomala, la salivazione. Come se avessi le ali sulle zampe, fui trascinato da quel profumo speziato fin sulla strada. Era cibo.
Il furgoncino delle consegne percorse faticosamente la strada che conduceva all’ultima casa della città. Noi randagi, benché avessimo voglia di assistere chi al recapito di un tale e gustoso bottino chi – come me – all’incontro tra due umani in un colpo solo, eravamo già al sicuro nelle nostre tane, lontani da occhi indiscreti.
Di nuovo, l’occasione di vedere un umano sfumò come il delizioso profumino che mi aveva inebriato poco prima. Non mi restava che continuare a sondare il fiumiciattolo marrone e sperare che la vostra superstizione sulla fortuna derivante da una cacca pestata contenesse un briciolo di verità.
Appena raccolsi le informazioni di cui avevo bisogno, salii nuovamente sul tetto e mi appostai sulla finestra. Le prime luci dell’alba iniziavano a restituire i colori all’ambiente circostante mentre l’umano, puntuale come un orologio svizzero, fece il suo ingresso nel bagno. Non credevo ai miei occhi, un uomo in carne e ossa era seduto, con le braghe calate, proprio sotto di me.
Spaparanzato sulla finestrella, ipnotizzato da quella figura misteriosa, cominciai a premere nervosamente le zampine sul vetro in preda ad una strana eccitazione. Il mio peso e, forse, il meccanismo di chiusura della finestra, reso marcio dagli anni e dalle intemperie, completarono l’opera. Senza rendermene conto scivolai sul vetro inclinato e caddi sulle mutande dell’umano, ben tese e dispiegate tra le sue ginocchia, che dolcemente accompagnarono la mia caduta fin dentro ai suoi pantaloni.
«Ahh, che diavolo succede? – urlò l’umano, alzandosi in piedi – Che male, ahh!». Le mie affilatissime unghia si erano conficcate sulle sue gambe e più si dimenava più i miei artigli affondavano il colpo.
Stupido, non fare così. Non capisci che il mio è un riflesso condizionato? Se ti fermi un istante forse riesco a tirarle fuori!
Non credo che avesse compreso i miei miagolii però improvvisamente si fermò. Io mi rilassai e mollai la presa, lui con un movimento deciso del braccio mi afferrò per la collottola e mi sollevò.
«I gatti non possono stare in casa… Ma da dove sei entrato, bricconcello?» – disse fissandomi negli occhi intanto che mi teneva penzolante. Dopo si guardò intorno, notò la finestrella spalancata sul tetto del bagno e aggiunse: «Dovrò far aggiustare quella finestra». Senza proferire altro mi portò fuori e mi poggio delicatamente sulla pavimentazione spaccata di fronte al portone di casa. Infine mi accarezzò la testa prima di rientrare, sbattendosi dietro la porta.
Ero confuso, una carezza stava facendo vacillare le mie certezze costruite sui solidi racconti del gatto senza zampa. Bastava un gesto insignificante per cancellare dalla mia mente mesi e mesi di aneddoti terribili sugli umani?
Certamente no! Però non era neanche facile accettare che un uomo dalla mano così delicata potesse essere cattivo. Mi sedetti in un angolo del giardino a riflettere sull’accaduto. Dopo poco la porta si riaprì e l’umano mise un piattino sullo scalino. Conteneva una sostanza bianca dall’odore simile a quello del latte. Urgeva un assaggio.
Puahh, latte! Per chi mi ha preso? Se pensa che un gattino come me possa essere attratto da un gusto così dozzinale, si sbaglia di grosso!
Alla parola latte, mio padre, che aveva assistito casualmente alla scena da un albero poco distante, drizzò le orecchie, si avvicinò cautamente al piattino, tenendo lo sguardo diffidente di chi si trova davanti ad una sostanza velenosa, e lo annusò attentamente.
“Se l’umano pensa di comprare la nostra benevolenza con il cibo, non ha capito proprio nulla! Noi siamo gatti semplici e ci accontentiamo di poco…”. Non aveva ancora completato la frase che d’un fiato aveva bevuto tutto il contenuto del piatto e si leccava il muso compiaciuto. Ma come biasimarlo? Il latte non era un alimento che si trovava facilmente nei cassonetti e oramai era così vecchio da aver dimenticato il sapore del buon latte materno.
Io invece ero turbato. Non riuscivo credere che quell’impertinente avesse voluto sfidare il latte della mia mamma. Quel piattino col liquido biancastro, puahh, era senza dubbio un gesto ostile! Mi sentivo come un gatto bianco che prende coscienza della propria stupidità.
Come avevo potuto dubitare per un solo attimo del gatto senza zampa?
Gatti di strada – Capitolo 4
(Visited 191 times, 1 visits today)
Lascia un commento